Taylorismo tra debito di riconoscenza e revisione del modello originario

di Matteo Catania

Ogni evento storico è frutto delle esperienze antecedenti alla sua realizzazione e sebbene per molteplici aspetti l’evoluzione delle organizzazioni complesse si sia discostata, dagli anni ’70, in maniera critica e revisionista dal sistema fordista/taylorista tale teoria ha segnato in maniera significativa l’evoluzione economica, politica e sociale della popolazione mondiale, in chiave sincronica e diacronica. L’approccio fordista ebbe un rilevante impatto et dal punto di vista economico et dal punto di vista sociale: ai lavoratori senza particolari competenze (oggi li definiremmo mcworkers) fu data la possibilità di guadagnare salari dignitosi, di trovare una dimensione umana e sociale (soprattutto per chi veniva dal vecchio continente a seguito della seconda globalizzazione) e di acquistare progressivamente dei beni fino ad allora destinati ad una élite ristretta (grazie alla produzione di massa).

L’evoluzione economica e politica della società occidentale del 900’ venne forgiata dalle liberaldemocrazie e dal sistema capitalistico ed a tale contesto il sistema tayloristico diede un importante (se non necessario) contributo evolutivo. Per molti aspetti l’OSL nelle organizzazioni private e la Burocrazia (teorizzata da Max Weber) nelle organizzazioni private plasmarono un modus operandi trasversalmente utile, efficace ed efficiente seppur poco attento alla sfera relazionale e psico-sociale degli impiegati delle organizzazioni complesse. Dagli anni ’70, gli anni di crisi, venne posto in seria discussione la disciplina taylorista in quanto ritenuta inadatta ad un mercato in continua evoluzione che per molteplici ragioni (dai due shock petroliferi del ’73 e del ’79 e dei tumulti sociali scoppiati in occidente dal ’68) non reggeva più il modello del mercato di massa. La razionalizzazione ed il modello giapponese (figlio di una cultura millenaria forgiata da valori quali il risparmio e l’economicità) diedero forma alla società che si preparava al nuovo decennio, gli anni ’80, con più consapevolezza dei propri mezzi e più riguardo alle esternalità negative prodotte dal mercato. Il modello just in time creò un modo innovativo di concepire il mercato e molte aziende fecero virtù della nuova realtà di management imperante. Un problema però, a mio avviso, non cessò di esistere: l’alienazione nelle grandi organizzazioni complesse. Tale questione venne magistralmente teorizzata da Sartre già negli anni ’50 e, sebbene l’impegno comune fosse quello di evitarne la comparsa, in molti casi, ancora oggi, le aziende pongono i lavoratori in situazioni di forte stress psico-fisico insostenibili. Il progressivo depauperamento della classe sindacale, molto attiva negli anni ’70 (gli anni delle riforme che diedero all’Italia lo statuto dei lavoratori), la progressiva riduzione della stabilità lavorativa a vantaggio di nuove forme contrattuali figlie della flexicurity e della capability, sembrano aver definito un vero e proprio ritorno al passato al modello primordiale delle grandi imprese tayloriste dei primi del 900’. Le nuove realtà oligopoliste più conosciute a livello mondiale (Amazon, Mc Donald’s) sembrano, rispetto a molte inchieste giornalistiche recenti[1], aver subordinato i lavoratori a principi economicamente e socialmente ancestrali.

Quanto espresso però non legittima, a mio avviso, alcuna lettura revisionista del fenomeno. Sebbene il sistema taylorista presentasse molteplici lacune in merito al trattamento della forza lavoro, d’altro canto rappresentò un modello rivoluzionario in termini di profitto tutt’ora oggetto di studio. La nostra generazione dovrebbe essere estremamente riconoscente nei confronti di una teoria manageriale che, contestualmente alla realtà in cui prese forma, segnò l’evoluzione economica e sociale della popolazione mondiale e fu un importante campo di studi anche per le discipline positiviste (psicologia e sociologia che trovarono nelle aziende un interessante contesto da studiare). La materia del management è stata plasmata dall’approccio taylorista ed ancora oggi presenta alcune importanti novità introdotte nel 1911, più di un secolo fa, che hanno rivoluzionato il modo di concepire le organizzazioni complesse. Nel progressivo passaggio al New World Management sarebbe utile, a mio parere, tener conto dei fondamenti tecnici apportati dalla teoria taylorista contestualizzandola ad una realtà più attenta all’aspetto dell’etica e della professionalità, rispetto al trattamento dei lavoratori (humanistic management) ed alle esternalità prodotte, all’outcome generato dalla produzione di beni e servizi. L’approccio comportamentale (delle relazioni umane, della motivazione, dell’aspettativa e degli stili di direzione) ha sostituito alcuni aspetti deficitari e rimodulato quelli principali della disciplina figlia dell’approccio classico e l’approccio contemporaneo (teoria dei sistemi, delle contingenze e delle decisioni) ha riadattato e ricontestualizzato un modello che, a fronte di un secolo, riesce ancora ad essere un riferimento attendibile per la disciplina del Management.


[1] Molto interessante, a tal proposito, un’inchiesta di Emanuele Bellano per la trasmissione REPORT del 3 gennaio 2022 “Amazon piglia tutto”, disponibile al seguente link: https://www.rai.it/programmi/report/inchieste/Amazon-piglia-tutto-900a0e9e-8467-47cc-b43a-43588a144e8b.html

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