Management al femminile

Immagine realizzata con ChatGPT 4

Si avvicina l’8 marzo, la Giornata internazionale dei diritti delle donne. La ricorrenza è propizia per rilanciare il tema del management al femminile che, di recente, ha catturato l’attenzione di studiosi, intellettuali, esperti ed esponenti del mondo aziendale.

Progetto Manager, il mensile di Federmanager, dedica l’ultimo numero della rivista al tema del gender gap, con una pubblicazione dal titolo “Nessuna Esclusa”. Clicca qui per consultare.

All’interno del Festival del Management, organizzato dalla SIMA (Società Italiana di Management), in programma a Milano il 7 e 8 marzo ci saranno numerose sessioni dedicate sia all’imprenditorialità che al management femminile. Clicca qui per consultare il programma.

Nel settembre 2023 (8 settembre), il Dipartimento di Economia e Impresa ha ospitato un convegno dal titolo “Feminist Perspective in Management”, promosso dalle professoresse Elita Schillaci e Arabella Mocciaro Li Destri. Clicca qui per consultare il programma

Prendendo spunto da quel convegno, il Prof. Faraci qualche giorno dopo (14 settembre) ha pubblicato un contributo sul quotidiano regionale La Sicilia, dal titolo Femminismo e Management, riportato di seguito.

Il femminismo nelle teorie manageriali è stato al centro di un recente workshop organizzato da Elita Schillaci (Università di Catania) e Arabella Mocciaro Li Destri (Università di Palermo) sotto l’egida della Società Italiana di Management, di cui le due docenti sono rispettivamente consigliera e presidentessa. Avendovi preso parte, rassegno alcune considerazioni a margine, pur sapendo che si tratta di un terreno scivoloso.

Incipit. Il femminismo come movimento storico di rivendicazione della parità di genere e lotta alle discriminazioni supera ogni tradizionale metrica binaria nella quale si può cadere parlando di maschi e femmine. Se può esserci concettualmente una dualità di maschilismo e gino-centrismo, patriarcato e matriarcato, mascolinità e femminilità, non esiste alcun contraltare al femminismo. A meno di voler parlare di antifemminismo che però è altra cosa, è andare contro. Il femminismo oggi ha ampliato il suo focus per includere questioni di identità, diversità e intersezionalità.

Focalizzando il tema solo su lavoro, impresa e management, le evidenze sono schiaccianti, come dimostrano diversi report internazionali. I problemi principali sono di tre ordini: il “gender gap” salariale; il soffitto di cristallo; le altre discriminazioni. Le donne contano ancora poco, soprattutto in alcune aree geografiche del globo. Se non arrivano sempre a posizioni di potere, non significa però che valgano meno. Alla radice di questi divari ci sono aspetti sociali, vincoli legislativi, stereotipi di genere (anche se recenti ricerche archeologiche dimostrano che le donne nel secolo scorso andavano a caccia come gli uomini), modelli culturali dominanti che l’antropologo Geert Hofstede ha attentamente studiato.

Poniamoci una domanda, apparentemente ovvia. Se il mondo avesse una maggiore presenza di donne nei posti che contano, sarebbe migliore di quello attuale? Sicuramente sarebbe diverso. E siccome il mondo attuale difetta tantissimo per obiettivi di “parità”, la risposta al quesito è consequenziale.

Però va data risposta pure ad un’altra domanda. Non è per caso che, con le sue assunzioni non sempre dimostrabili, le teorie più o meno falsificate, la cassetta di attrezzi a disposizione di chi fa impresa e di chi la guida ai vertici, il management sia in parte da ripensare? Nella ricerca scientifica dove lo si indaga; nelle aule universitarie dove lo si insegna; nei corsi di formazione dove lo si approfondisce; nelle imprese ed organizzazioni dove lo si pratica?

Sì, il management va ridisegnato, perché è nato e maturato nel contesto della rivoluzione industriale ma adesso la società è radicalmente cambiata. A parte gli slanci degli ultimi due decenni, il management ha sempre ignorato il tema delle diversità.

Esplorare poi la diversità delle donne è un argomento delicato. Diversità biologica? Dovremmo tirare in ballo gli studi più recenti di epigenetica per provare a rispondere. Diversità di ruoli – di caregiver della donna, di provider degli uomini? Spesso sono convenzioni sociali. Diversità di preparazione? A scuola e all’università le ragazze sono più brave; è strada facendo che le donne poi diventano “invisibili”, come direbbe Caroline Criado Perez. Diversità di intelligenza emozionale? Può darsi, ma questo argomento rischia di essere divisivo più che inclusivo.

E allora?

Sicuramente le teorie e gli approcci di management vanno rivisti e lo dimostra il fatto che i temi di sostenibilità, responsabilità sociale, etica, diversità e inclusione stanno pian piano entrando nella ricerca e nelle aule universitarie. Si stanno esplorando nuove metriche per valutare le performance aziendali, quelle imprenditoriali e socio-ambientali in aggiunta alle tradizionali economico-finanziarie. Si stanno affrontando con i giovani i temi di work-life balance, vivibilità dei luoghi di lavoro, politiche e strumenti flessibili per l’occupazione, nuove forme di leadership gentile e potere organizzativo meritocratico.

Qui sensibilità e preparazione femminili sono fondamentali. Per svoltare ed innovare, come hanno fatto altri Paesi, ad esempio quelli scandinavi. Dove le donne sono madri, ma non sono le uniche caregiver della famiglia, e molte di loro rivestono ruoli sociali strategici. E quando non sono madri per vari motivi, percorrono nuovi sentieri di generatività individuale e familiare che alimentano pure originali flussi di generatività sociale.

Torniamo alla domanda di partenza. Che mondo sarebbe con più donne nei posti che contano?  Diversamente migliore.    

Lascia un commento

Progetta un sito come questo con WordPress.com
Comincia ora
search previous next tag category expand menu location phone mail time cart zoom edit close